«Ho sempre pensato che un'ambiguità credibile, davvero realistica, costituisca la miglior forma di espressione" disse una volta Stanley Kubrick in un'intervista. " E ciò per diverse ragioni. Prima di tutto nessuno ama che le cose gli vengano spiegate […] E, cosa forse ancora più importante, nessuno sa veramente cosa sia reale o cosa stia davvero accadendo».
La visione di una realtà contraddittoria, che si muove sul filo dell'assurdo, è presente, seppur con sfumature e toni diversi, in tutte le pellicole del regista americano. Quello che circonda i protagonisti dei suoi film è un universo fatto spesso di ossimori, dove la luce non è mai del tutto scissa dall'oscurità. Un mondo enigmatico del quale, soprattutto, nessuno possiede la chiave per offrire un interpretazione oggettiva, valida una volta per tutte. Nel suo ultimo lavoro, "Eyes Wide Shut", poi, il sogno arriva a confondersi con la realtà ad un punto tale che, alla fine, nessuno può più dirsi certo di che cosa sia davvero accaduto.

Quando Kubrick si trovò per la prima volta a lavorare con le immagini aveva soltanto 17 anni. Non dirigeva una troupe, non stava dietro ad una cinepresa. Più modestamente, se ne andava in giro con una macchina fotografica. Eppure, 54 anni prima che "Eyes Wide Shut" uscisse nelle sale cinematografiche, il giovane Stanley, già dai primi scatti, mostrava i semi che sarebbero germogliati nella sua straordinaria carriera di cineasta.
In un'epoca dominata da grandi nomi della fotografia come Walker Evans, Henry Cartier Bresson, Robert Frank, Louis Faurer, Kubrick che pure aveva appreso la lezione dei maestri del passato ( da Alfred Stieglitz a Lazlo Moholy-Nagy), aveva anche già sviluppato un approccio autonomo al racconto per immagini.

Alla parte meno conosciuta della sua carriera (e fino ad oggi ben poco analizzata) è dedicata la mostra "Stanley Kubrick fotografo 1945-1950" realizzata dal Comune di Milano e da Giunti Arte Mostre Musei in collaborazione con la Library of Congress di Washington e il Museum of the City of New York (che custodiscono un patrimonio ancora sconosciuto di oltre 20.000 negativi del regista americano). Curata da Rainer F. Crone, l'esposizione presenta per la prima volta in assoluto 300 stampe da negativi originali delle foto scattate da Kubrick, nella seconda metà degli anni '40, per la rivista Look.
Un aspetto poco noto e spesso sbrigativamente liquidato ( anche nelle monografie dedicate all'autore) come un lavoro acerbo, considerato al massimo parte di un percorso formativo che avrebbe portato ai capolavori degli anni a venire.

Per la prima volta, dunque, con la mostra allestita a Palazzo della Ragione a Milano, viene rivalutato il valore degli scatti di Kubrick. In queste immagini raggruppate in sequenze, troviamo il gusto per il paradosso, la ricerca della contraddizione, la capacità di rappresentare la dignità degli uomini ritratti. E ancora, l'attenzione del fotografo che costruisce la storia ( con piglio che potremmo definire già "da regista") invece di limitarsi a documentare ciò che gli passa davanti agli occhi. Un ottimo esempio di questa attitudine è dato dalla serie "Shoe-shine Boy" che ritrae un ragazzino biondo di nome Mickey in diverse situazioni, a partire dalla sua attività di lustrascarpe. Ma lo vediamo anche mentre studia, ad un chiosco con un suo amico, su di un ring mentre incrocia i guantoni con un coetaneo, intento a dar da mangiare ai colombi. Da semplice soggetto di un insieme di scatti è diventato, insomma, il protagonista di una storia.

Non tutte le serie presentano quest'aspetto. Quelle della sezione "Columbia University" non costituiscono una vera e propria narrazione, per esempio. Si avvicinano piuttosto, come quelle dedicate ai musicisti dixieland di New Orleans o al viaggio in Portogallo, ad una riflessione profonda sulla condizione umana. Anche questo, d'altra parte, non sarà un elemento estraneo alla regia dell'americano.
In fondo, comunque, sarebbe probabilmente sbagliato cercare dappertutto i germi della futura carriera di Kubrick. Vedere l'occhio del cineasta, per forza, dietro ad ogni immagine. Dopo tutto, gli scatti in mostra hanno un grande fascino al di là della gloria e del successo che avrebbe, poi, incontrato il loro autore.
E alla fine, prima di andarsene, un dubbio viene spontaneo. Non si fosse dedicato alla regia, uno che a 17 anni era in grado di fare foto come queste, non sarebbe, per caso, diventato uno "Stanley Kubrick della fotografia"?

"Stanley Kubrick fotografo. Gli anni di Look (1945-1950)". Fotografie di Stanley Kubrick. Milano, Palazzo della Ragione, dal 16 aprile al 4 luglio. Orari: da martedì a domenica dalle 9.30 alle 19.30, giovedì dalle 9.30 alle 22.30, lunedì dalle 14.30 alle 19.30. Ingresso: 8,50 euro, ridotto 7 euro, ridotto speciale scuole 3 euro.
www.mostrakubrick.it

FOTO / Le immagini della mostra

 

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